Una diversa forma di paternità. Riflessioni a partire da un’esperienza di affido

Luglio 2018

Nella primavera del 2016 io e mia moglie Patrizia abbiamo sentito il desiderio di sperimentare una nuova e diversa esperienza di genitorialità – quella dell’affido – e, per questo, abbiamo contattato il servizio Affidi del Comune di Milano per verificarne la fattibilità, le modalità, le regole ecc. Dopo aver frequentato un breve percorso di formazione previsto dal progetto di affido e qualche mese di attesa (necessario perché si creasse la combinazione fra la disponibilità da noi offerta di un affido cosiddetto “part time” – nei fine settimana e nei periodi di vacanza – ed un caso che fosse compatibile), da ottobre 2017 è entrata nelle nostre vite e a pieno titolo nella nostra famiglia la piccola Sofia di 8 anni. Sofia vive con la mamma mentre non ha più, da qualche anno, rapporti stabili con il papà ed il nostro progetto di affido durerà per ora fino al prossimo mese di ottobre. Da un po’ di tempo sentivo il desiderio – forte anche dell’esperienza di consapevolezza maturata in questi anni sui temi della paternità attiva e responsabile curando dal 2010 il progetto Papà Al Centro con l’amico-socio Massimo Zerbeloni – di “fermare su carta” i tanti momenti, le molte riflessioni, le diverse emozioni e sensazioni che da allora sto vivendo. L’occasione per farlo me l’ha offerta la visione della seconda puntata del ciclo “Lessico familiare”, andata in onda lunedì 14 maggio su Rai Tre (si può rivedere qui), condotto dal prof. Massimo Recalcati e dedicata appunto alla figura del padre (ed in parte anche quella andata in onda il lunedì successivo dedicata invece a quella del figlio).

Dell’interessante quanto articolata riflessione del prof., tre sono stati gli snodi da lui affrontati e che più da vicino stanno interrogando/“stressando” il mio essere papà dall’arrivo con noi di Sofia e che qui proverò ad illustrare riprendendone letteralmente alcuni passaggi.

Innanzitutto quando il prof. afferma “….il padre non è lo spermatozoo, non è il genitore biologico dei suoi figli…”, nei fatti questa sua affermazione si sta rivelando molto vera per me/noi. Quando Sofia è con noi, per me e Patrizia, è a tutti gli effetti nostra figlia e la modalità (secondo alcuni un po’ vessatoria, a dire il vero……) con cui ci rapportiamo a lei è identica a quella con cui ci rapportiamo a nostro figlio Edoardo, a prescindere dal fatto che il secondo sia nostro figlio naturale. Ed agiamo così indipendentemente dal suggerimento datoci dal servizio Affidi del Comune di assumere proprio questo atteggiamento perché giudicato il migliore in simili situazioni; lo facciamo molto più semplicemente perché spinti dal nostro quotidiano agire facendoci guidare da ciò che chiamerei “responsabilità genitoriale”. Quando sono insieme a Sofia, mi considero e mi sento, anche se per poche ore, a tutti gli effetti suo papà e cerco di esercitare al meglio (o per lo meno secondo gli stessi criteri che adotto quando mi rapporto con Edoardo) ciò che più sopra ho definito responsabilità genitoriale che è uno degli elementi che concorre a strutturare quella che il prof. Recalcati definisce la “funzione paterna”, concetto diverso e non necessariamente coincidente con la figura del papà. Funzione paterna che oggi non trova più la sua rappresentazione nell’autorevolezza della voce e dello sguardo del padre che spiega al figlio il valore e il senso della vita, la differenza tra il bene e il male, il giusto e l’ingiusto ecc., ma nell’autorevolezza dei suoi gesti, nella testimonianza che riprendendo qui il prof. “…….egli dà con la sua vita che la vita può avere un senso sostenendo e supportando il figlio nella realizzazione dei suoi desideri all’interno però di un contesto ben preciso di regole”. Mi sforzo con il mio agire di fornirle, analogamente a quanto faccio con Edoardo, elementi/indicazioni/regole che le possano essere di aiuto per crescere serenamente capendo il senso del limite ed apprendendo quelle regole elementari per rapportarsi agli altri in maniera positiva. La differente modalità di trasmissione della cd. “funzione paterna” rimarcata dal prof. è una delle dimensioni di quella evoluzione, in corso da qualche decennio, della figura paterna che si sta trasformando da “padre-padrone” (la figura tradizionale e da cui proveniamo caratterizzata dall’essere severa, assente, lontana) a “padre-testimone/esemplare” che si caratterizza invece per essere meno severa, più presente, più prossima.

Il concetto di testimonianza sopra citato viene ripreso anche nel secondo snodo concettuale affrontato dal prof. e che mi tocca da vicino da quando mi relaziono con Sofia allorquando afferma “…..Oggi quindi il padre è testimone e la sua testimonianza viene data attraverso la sua vita: il padre non deve spiegare il senso della vita, ma deve mostrare attraverso la sua che la vita, con i dovuti limiti, può avere un senso, animando così la vita del figlio con la speranza….”. Nel mio caso però non posso non tenere conto che Sofia un papà ce l’ha, con lui ha trascorso i primi anni di vita e ne continua ancora ad avere. Talvolta quindi in questi mesi mi è capitato, non conoscendo suo padre e sapendo poco o nulla del suo passato con lei e del suo presente con e/o senza di lei (e quindi su cosa pensi, che esperienze abbia vissuto o stia vivendo con la figlia, se e cosa le abbia trasferito ecc..), di interrogarmi sulla testimonianza di vita che le sto offrendo; ad es. mi chiedo se il mio agire sia simile o diverso da quanto lei ha appreso/sta apprendendo dal suo papà naturale. E poi ancora mi domando: “La mia testimonianza sarà efficace?”, “Quanto di essa si contrappone a quella di suo papà?”, “Vanno in senso opposto oppure si sostengono a vicenda?”ecc. ecc. Domande per me nuove prima del suo arrivo nella mia e nostra vita.

Infine un terzo snodo affrontato dal prof che il rapporto con Sofia sollecita del mio ruolo paterno tocca da vicino un paio di questioni: da una parte quella dei valori che si trasmettono e del connesso concetto espresso dal prof. di eredità – quindi di quel qualcosa che il genitore tramanda ed affida alle nuove generazioni – e dall’altra quella del tempo che si ha disposizione nella costruzione del rapporto con i propri figli e quindi della trasmissione di quei valori.

Questi i due passaggi del prof. ripresi dalle due puntate: “….Qual è quindi l’eredità del padre? L’eredità paterna è costituita dai valori che è riuscito a tramandare. La testimonianza deve accadere nel silenzio e non genera degli effetti immediati, come una semina che richiede tempo per generare i frutti…..” ed ancora “l’espressione che meglio rappresenta l’età adolescenziale dei figli è vai….” (contrapposta a quella dei primi anni di vita che è “eccomi”).

Sofia ha, seppur ancora piccola, in parte già acquisito un piccolo bagaglio valoriale che quando è entrata a far parte delle nostre vite non conoscevamo e sto replicando con lei il “modus operandi” seguito con Edoardo anche nella trasmissione di idee e valori fondanti il mio essere padre. Ma se con Edoardo agivo su una tabula rasa, con Sofia così non è – cosa che fra l’altro è assai stimolante – e quindi mi fermo talvolta a riflettere se non le stia esercitando un po’ di “violenza” o comunque trasferendo valori in contrasto con quelli di cui lei è già in parte portatrice. Su questo gioca a mio e nostro favore l’ottimo rapporto con la mamma di Sofia che si è sempre dimostrata aperta e disponibile ad un nostro agire che ci consentisse di contaminarci con lei. E’ per me motivo di gioia averle potuto in questi mesi ad es. trasferire l’amore per Milano e la “milanesità”, cioè quella tensione a voler vivere intensamente alcuni di quegli elementi popolari (un panzerotto da Luini, una passeggiata fra le bancarelle della Fiera degli O’ bej O bej ecc.) che concorrono ad identificarci con la nostra città e che devo ad uno dei tanti “milanesi di importazione” (il mio babbo trasferitosi qui da Napoli nel 1968) che fin da piccolo me l’ha trasferita, fatta coltivare e crescere nel corso degli anni….anche in questo si vede in fondo in maniera sostanziale e concreta il concetto della trasmissione dei valori da padre a figlio.

Certamente e in parte purtroppo il tempo per farlo è però contingentato perché l’affido è per sua natura un’esperienza a tempo: cioè quando inizia si sa già che avrà un termine ed anzi talvolta capita che si interrompa anche prima di quando previsto all’inizio del percorso; di conseguenza ed inevitabilmente il rapporto che si instaura fra la famiglia affidataria e la persona che viene accolta è quindi di breve periodo, molto incentrato sul qui e ora e poco proiettato ad una progettualità di lungo periodo. Quindi ci si dona, si potrebbe dire, senza sapere né se né quando si vedranno mai i frutti del proprio lavoro di semina proprio perché il raccolto potrebbe avvenire quando quel rapporto si sarà interrotto. Ciò nonostante l’esperienza educativa con Sofia si sta rivelando molto arricchente, sebbene talvolta prevalgano in me/noi anche considerazioni del tipo “chissà cosa rimarrà a Sofia di quanto le stiamo insegnando” ecc. ecc. e che inevitabilmente rimandano a quella condizione di esperienza a termine. Già ora penso a quando il rapporto con lei si interromperà, alle emozioni che vivremo e mi domando se e in che modo quel rapporto continuerà – se continuerà – nel tempo…….

Infine sempre il prof. nell’illustrare il passaggio dei figli dall’infanzia all’adolescenza individua le due espressioni verbali che meglio rappresentano per noi genitori questi momenti: si passa infatti dall’ “eccomi” – dietro a cui soggiace il concetto di esserci in maniera totalizzante tipica dei primi anni di vita dei figli – a quella del “vai” che invece riflette il momento nel quale da una parte non si è più bambini e si è spinti quindi a voler scoprire il mondo e, dall’altra, noi genitori dobbiamo essere pronti a fare un passo indietro/di lato, passando da chiocce sempre presenti a guide che da lontano indirizzano il cammino dei figli. Anche in questo caso mi domando se mai potrò dire a Sofia “vai” e poter così vivere anche con lei quella fase di passaggio verso l’età adulta così carica di fatiche, tensioni, problemi ma che rappresenta comunque una tappa fondamentale nel percorso di vita di ogni figlio.

Tirando le somme, l’esperienza di affido di Sofia si sta rivelando uno dei progetti più arricchenti e soddisfacenti vissuti dalla nostra famiglia da tanti di punti di vista diversi perché ci sta consentendo di rimetterci in gioco e in discussione come genitori, di rivedere i nostri metodi ed approcci educativi, di rivivere alcuni momenti già vissuti con Edoardo ma con una maggiore consapevolezza ecc. ecc.

Le emozioni vissute e le riflessioni fatte in questi mesi mi spingono da un lato a suggerire, a chi se la sente, di provare a sperimentare questa esperienza perché fortemente trasformativa del proprio essere. Dall’altro rinforzano in me un’opinione maturata fin dall’arrivo di Edoardo: ciò che conta davvero per noi genitori – in particolare per noi padri – è quello di lasciarci influenzare e guidare nel nostro agire quotidiano (fatto spesso di fatiche, sofferenze, rinunce e senza libretti di istruzioni) sempre e comunque soprattutto dall’incredibile forza che ci danno i nostri figli (anche quando non sono naturalmente nostri come nel caso di Sofia) perché consentono di metterci/rimetterci quotidianamente in gioco e di andare, mano nella mano, alla scoperta di cosa voglia dire “sentirsi” (più che essere) veramente papà.

Stefano

Autore: Stefano Florio

Sposato con Patrizia e papà di Edo. Manager in ambito accademico. Socio fondatore di PeACe. Animatore di Papà Al Centro. Interista, contradaiolo dell'Onda.

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